Il violinista sarà domenica in Basilica con i Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone «Mi onoro di essere amico di Claudio Magris e amo molto la letteratura triestina»
di Alex Pessotto
È il fatto di portare avanti una scuola, una tradizione. Un’importanza, questa, che travalica quella del suo essere “solo” un musicista, per quanto illustre: dell’arte violinistica, Uto Ughi è un simbolo, il simbolo. In Italia e, ancor di più, specie per la storia sua e della sua famiglia, in Friuli Venezia Giulia. Come sono un simbolo i Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone che di un passato illustre tengono alta la fiaccola.
Non è un caso, allora, che la Fondazione Aquileia e il Gruppo Triveneto dei Cavalieri del Lavoro abbiano voluto entrambi: Ughi e i Solisti Veneti, diretti dal maestro Scimone, naturalmente.
L’appuntamento è per domenica alle 21 alla Basilica di Aquileia. Si tratta di un concerto a invito, con, fra il pubblico, il gotha dell’imprenditoria del Nordest nonchè i massimi rappresentanti del mondo istituzionale ed economico regionale.
E la Fondazione Aquileia ha desiderato offrire a 250 giovani tra i 15 e i 30 anni la possibilità di assistere gratuitamente all’evento, proposto in occasione dell’annuale assemblea dei Cavalieri del Lavoro Triveneti.
Maestro Ughi, per lei non sarà un debutto ad Aquileia…
«Ho suonato qualche volta nella sua bellissima Basilica, che ha un po’ suggerito la scelta del programma: la Romanza in fa maggiore di Beethoven, il Concerto di Mozart in sol maggiore e il Concerto in mi maggiore di Bach con uno degli adagi più belli scritti da Bach, un assoluto capolavoro che all’atmosfera della Basilica credo si adatti bene».
Quanto viene influenzato dal luogo dove si esibisce?
«I luoghi di particolare importanza storica, spirituale, artistica conservano l’energia del passato e influenzano la concentrazione e il modo di suonare. Forse è una mia caratteristica, ma ho notato che riesco a dare il meglio nei luoghi dove c’è un passato rispetto a un luogo moderno, freddo, asettico, anonimo».
Nemmeno con I Solisti Veneti per lei sarà un debutto…
«Conosco Scimone da quand’ero ragazzo. Abbiamo fatto tanti concerti assieme. Ad esempio, specie nei primi anni della nostra collaborazione, mi ha fatto conoscere molte opere di Tartini del quale abbiamo anche inciso un disco. Con lui mi sono sempre trovato bene perchè è un musicista ricco di immaginazione, fervore, di un entusiasmo che direi contagioso».
Com’è, oggi, il livello del pubblico italiano?
«In Italia c’era un pubblico molto vivace e, in alcuni luoghi, c’è tuttora. Ad esempio, in Italia meridionale ha più “vibrazione”, più interesse, più sensibilità mentre nel Nord Italia gli spettatori sono diventati un po’ apatici, uniformi, più indifferenti rispetto a un tempo. Ciò è dovuto agli inquinamenti della grande musica con la musica leggera. E poi, oggi, il pubblico è disorientato dai media. Viviamo la dittatura della comunicazione: ciascuno crede di poter dare un giudizio ma invece è influenzato dalla comunicazione in modo determinante. Il mio discorso riguarda soprattutto Internet e i mezzi di comunicazione per così dire moderni che ci sommergono di notizie fasulle. Un tempo, la situazione era diversa, migliore».
Ma lei che rapporto ha con la tecnologia?
«Un rapporto quasi da analfabeta. Non ho il computer. Ho a malapena il telefonino. Detesto una comunicazione attraverso il computer. A me piace comunicare di persona.
Come vede la situazione delle nuove generazioni italiane di violinisti?
«Le sale da concerto e i teatri privilegiano sempre artisti, non solo violinisti, con un nome straniero, denotando un provincialismo culturale. Si preferisce spesso chi viene da fuori e non si valorizzano abbastanza le forze nostrane. In Francia avviene l’opposto. Ci deve essere una solidarietà nazionale, non nazionalistica: i nazionalismi sono certo sbagliati ma un amore per la propria terra, per la propria identità, la propria origine è opportuno; un amore che in Italia non c’è».
Quando ha suonato l’ultima volta alla Scala?
«Anni fa. Ma preferisco venir ricordato per aver subito qualche ingiustizia che per aver mendicato qualche concerto. Vado dove mi invitano».
In fondo, anche Borges non ha mai vinto il Nobel… E quando gli domandarono come mai…
«”Forse credono di avermelo già dato”, rispose. Tra l’altro, quello con lui è stato uno dei grandi incontri che ho fatto. Sono andato a conoscerlo a Buenos Aires e mi ha fatto trascorrere un pomeriggio meraviglioso».
Ora cosa sta leggendo?
«Un libro di Isaiah Berlin: “Il legno storto dell’umanità”. Per me leggere è una necessità mentale. Ad esempio, mi piace molto Zygmunt Bauman».
E spesso cita Stefan Zweig…
«Rimane uno degli scrittori che ho sempre adorato. Ma adoro, ad esempio, Claudio Magris: l’ho conosciuto
in Israele. Oggi è senza dubbio tra i grandi. Rappresenta il tipico esempio di intellettuale triestino. Mi onoro di essere suo amico anche se, purtroppo, non ci vediamo quasi mai. E per quanto riguarda Trieste amo molto, ad esempio, Umberto Saba, Italo Svevo».
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04 settembre 2015
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