(intervista di Federica Fantozzi pubblicata su “L’Unità” del 26 luglio 2015)
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Serracchiani on 26 lug, 2015Oggi L’Unità pubblica una mia intervista sulle riforme, sul ruolo della sinistra e sull’appello della Presidente della Camera Laura Boldrini.
«C’è una sinistra frammentata, che non vuole cambiare le cose e non intende assumersi responsabilità quasi preferendo essere all’opposizione. Io non dico no a questo auspicio, ma guardiamo i fatti in Parlamento: sulle grandi riforme hanno votato no». Debora Serracchiani, vicesegretario Democrat e governatore del Friuli Venezia Giulia risponde all’appello all’unità della sinistra lanciato dalla Presidente della Camera Laura Boldrini.
La presidente della Camera Laura Boldrini ha lanciato, proprio sull’Unità, un appello: la sinistra deve essere unita se vuole cambiare l’Italia. E’ possibile? E soprattutto, come si fa?
«La prima riflessione è che storicamente la sinistra in Italia non è mai stata unita. Il Pd ha l’ambizione di parlare al centrosinistra ma non solo. E’ un fatto che non sempre siamo riusciti a raggiungere quella sinistra che si è sentita e si è voluta posizionare diversamente rispetto al Pd».
Non è un sentimento ricambiato? Boldrini invita Sel, il suo partito, a non considerare il Pd un nemico. All’assemblea di Milano, però, Renzi ha annoverato tra gli avversari, oltre a Grillo e Salvini, proprio la sinistra radicale.
«Renzi intende per sinistra radicale quel mondo che non vuole cambiare le cose, che ha un’idea di autosufficienza tale da condurlo all’isolamento pur di non dialogare con il Pd, che è rimasta sconcertata dalla capacità che il Pd ha acquisito e consolidato di parlare a mondi diversi mettendo al centro le politiche».
Perché, secondo lei, si comporterebbero così? Che vantaggio ne avrebbero?
«Già a concorrere alla fine del secondo governo Prodi fu la frammentazione della sinistra. Con Sel non siamo mai riusciti a fare gruppi unici in parlamento, pur avendo tentato. C’è una sinistra radicale che costruisce la propria identità in contrapposizione al Pd e che non intende assumersi responsabilità di governo, quasi preferendo essere all’opposizione. Questa è la fotografia del centrosinistra. E’ questo il mondo di cui il Pd tenta di essere il perno».
Non potrebbe essere, invece, che hanno un’idea di società diversa dalla vostra?
«Una parte della sinistra italiana non ha mai voluto guardare al modello delle socialdemocrazie europee, spesso si è basata ed è cresciuta più su singole personalità che su determinate politiche. La mia impressione è che molte divisioni siano più tra i leader che tra i programmi, più elettorali che contenutistiche. In generale, la sinistra è quella che vuole cambiare le cose e la destra quella che si accontenta dell’esistente. Ecco, c’è una sinistra che non accetta la sfida culturale del cambiamento».
Faccia i nomi. A chi si riferiva Renzi?
«Non soltanto a Sel, ai fuoriusciti dal Pd, alle formazioni di Rizzo e Ferrero che ogni tanto tornano fuori. C’è tutto un mondo variegato e distinto dal pd. Si è visto anche alle ultime elezioni regionali. Non solo in Liguria, dove anche nel Pd ci sono state divisioni, ma anche in Toscana dove l’alleanza con Vendola è mancata. In alcuni posti le coalizioni sono cambiate rispetto ai percorsi recenti».
Anche nelle votazioni parlamentari con Sel vi siete divisi: riforma della scuola, Jobs Act, architettura costituzionale.. Da dove si riparte?
«Sulle riforme noi partiamo sempre dall’unità del partito. Io considero sbagliata la tendenza a distinguere una sinistra dentro e fuori il Pd. Non è che il Pd è di sinistra se c’è Fassina e non lo è se Fassina esce. Lo è a seconda delle politiche che fa: lotta al precariato abbassando i costi dei contratti a tempi indeterminato, abbattimento della tassazione sul lavoro, dare tutele a chi non ne ha, sono tutte riforme che io considero di sinistra. E trovo incomprensibile dividersi su questi argomenti se non a causa di personalismi dannosi».
Insomma, mi pare che l’auspicio all’unità della presidente Boldrini abbia poche possibilità di concretizzarsi…
«Io non dico no a questo tentativo, ci sono esempi sul territorio in cui questa collaborazione avviene sulla base di programmi di governo. In Parlamento, parlano i fatti e si è visto quello che è successo sulle grandi riforme in questi mesi. L’Ulivo di cui quella sinistra faceva parte voleva superare il bicameralismo perfetto, quindi non capisco perché adesso ci troviamo su fronti diversi».
In Friuli Venezia Giulia avete varato il reddito di inclusione, votato anche dal M5S. Può aiutare a costruire condivisione?
«La lotta alla povertà può essere effettivamente un tema su cui trovare ampie convergenze, del resto è una sfida lanciata dalla crisi a cui nessuno può sottrarsi. Per la nostra misura di sostegno al reddito abbiamo creato le condizioni di un patto tra Regione e e cittadini bisognosi senza assistenza né elemosina. L’indennità spetta a chi si impegna a superare le difficoltà attraverso un percorso di formazione, riqualificazione o impegni sociali».
Anche su Tsipras vi siete trovati su posizioni opposte, poi sono stati gli accadimenti internazionali a far scomparire la materia del contendere…
«Anche qui, guardiamo cosa è accaduto. La sinistra radicale è andata ad Atene a sostenere il referendum convinta di aver trovato il leader che li potesse tenere insieme, dato che in Italia ci sono tante figure difficilmente collocabili nello stesso contenitore. Quanto è durato? Ventiquattr’ore. Alla fine Tsipras si è dimostrato pragmatico, ha fatto una scelta che rivendicava l’orgoglio greco ma apriva una trattativa con l’Unione Europea e con i creditori del suo Paese. E dal giorno dopo non ho più sentito parlare di lui tra quegli esponenti politici».
Sul ddl Boschi, che ridisegna Senato e Costituzione, secondo lei ci sarà modo di trovare un punto di ricaduta comune con Sel? E con la minoranza del suo partito?
«A settembre vedremo se ci sono le condizioni. Stiamo scrivendo gli assetti costituzionali del Paese e troverei naturale la più larga condivisione. Con la sinistra radicale, però, al momento la distanza mi sembra incolmabile: le posizioni sono troppo distanti. Mentre con la minoranza Pd il dialogo è aperto, ma senza tornare al punto di partenza».
Gli eventuali voti del gruppo di Verdini o di altri esponenti dell’opposizione potranno essere sostitutivi di quelli mancanti nel Pd?
«No. Non cerchiamo nessuno e partiremo, lo ripeto, dall’unità del nostro partito. A chi vorrà aggiungersi e votare le riforme con noi, non diciamo no. Ma questo non cambierà né la maggioranza di governo né le politiche del Pd. Ed è inutile aggiungere che le porte del partito non sono aperte a Verdini».
(intervista di Federica Fantozzi pubblicata su “L’Unità” del 26 luglio 2015)