La vicesegretaria nazionale uscente del Pd: chi pensa di consegnare il Paese alla sinistra fa male i calcoli. Nel Pd tante anime, nessuno è depositario del copyright. Non è il PdR
di Anna Buttazzoni
TRIESTE Da poche ore Debora Serracchiani non è più la vicesegretaria nazionale del Pd. Con le dimissioni di Matteo Renzi, ieri all’assemblea di Roma, i Dem chiudono una «brutta domenica», per dirla con le parole di Gianni Cuperlo, e si dedicano all’implosione. La fase più drammatica del Pd è aperta. Dove porterà, è un’altra storia. Il treno di Renzi è lanciato a tutta velocità. La minoranza ormai guarda altrove. Serracchiani resta salda nel Pd che ha contribuito ad accompagnare fino al bivio di ieri.
Ci saranno il congresso e nuove sfide, fino alle elezioni. Lei non fa pronostici. Da presidente Fvg è legata alla Regione fino al 2018. Non lo dice, ma è probabile che i suoi contributi da oggi in poi saranno riservati alla riorganizzazione del partito. Politicamente, invece, Serracchiani ha una sola via d’uscita dal continuo rintuzzare del centrodestra che vuole sapere se sceglierà Roma o resterà a Trieste. Serracchiani deve puntare sulla scadenza naturale del Governo Gentiloni, il 2018. E forse il bivio di ieri le sarà utile.
Presidente, è nato il Pdr, il partito di Renzi?
«Assolutamente no, anzi oggi il Pd ha mostrato in modo evidente di essere un partito in cui si discute con una pluralità di voci, con sensibilità diverse, confermando la sua nascita non per divisione, ma per fusione di storie differenti, che tutti oggi abbiamo ascoltato. Il Pd ha dimostrato che la strada tracciata dieci anni fa è quella giusta e che continua anche dopo questa assemblea.
Lo hanno detto bene Piero Fassino, Walter Veltroni, Dario Franceschini, Gianni Cuperlo e “compagno Zeta”. Oggi abbiamo fatto la cosa più logica che fa il Pd, cioè andare al congresso. L’assemblea è sciolta e l’obiettivo è il congresso prima delle amministrative, entro giugno».
È un Pd meno di sinistra?
«No, gli interventi hanno chiarito che all’interno del Pd ci sono tante anime e che quelle che vengono dalla sinistra restano. Molte di quelle voci hanno preso la parola in assemblea e soprattutto credo abbiano chiarito che nessuno è depositario del copyright della sinistra, che i valori della sinistra sono ben piantati nel Pd che ha il compito di essere partito di centrosinistra. Ritengo corrette le parole di Ileana Argentin, perché ha ricordato che quello di Renzi è stato un Governo di sinistra, portando gli esempi delle leggi su unioni civili, disabilità e dopo di noi».
Siamo al gioco del cerino, tornato in mano a Renzi, o con la minoranza c’è una possibilità di recupero?
«Il segretario si è dimesso, lo statuto prevede che si avvii la fase congressuale e io mi auguro ci saranno diversi candidati che si sfideranno, che quindi ci sarà la possibilità di discutere delle cose fatte e che intendiamo fare, ognuno portando il proprio contributo di opinioni. Oggi abbiamo dimostrato di saper discutere anche in modo ruvido, ma in diretta, con trasparenza, pubblicamente, al contrario di chi sbandiera la trasparenza e ha fatto l’ultimo streaming nel 2014».
Con il passo indietro di Michele Emiliano pensate di aver rotto il fronte con Enrico Rossi e Roberto Speranza?
«Non abbiamo avversari dentro il Pd né fronti da dividere. Sabato mi pare ci fossero posizioni già sensibilmente diverse nella minoranza. Son convinta però che l’apertura del congresso darà la possibilità a tutti di esprimersi rispetto all’identità e all’organizzazione del partito, alle proposte economiche e sociali».
È la minoranza che ha fatto i conti con i seggi o i renziani, come ha detto nel fuorionda il ministro Graziano Delrio?
«Francamente non credo che questo sia il calcolo che appartiene a un partito plurale come il nostro. Noi non discutiamo di poltrone in una stanza a porte chiuse, ci confrontiamo in ogni singolo circolo e così faremo anche in questa fase».
Sono all’orizzonte alleanze con Pisapia e il mondo centrista?
«Lo ha detto con chiarezza Renzi: c’è un dialogo aperto con il campo progressista di Pisapia ma il perno di qualunque alleanza è e resta il Pd, pur ritenendo ci sia un centro moderato che non si riconosce nell’estremismo di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Beppe Grillo e che vorremmo attirare sulle posizioni del Pd».
La scissione è un regalo alla destra?
«Indubbiamente, perché la divisione non ha mai fatto bene al centrosinistra e al Paese. Chi oggi pensa che andandosene consegnerà il Paese alla sinistra fa male i conti, perché invece consegnerà l’Italia alla destra o a Grillo, come accade in altri Paesi europei, dove vincono nazionalismi e populismi».
Con un sistema proporzionale, questa divisione serve per poi aver maggior forza nel riallearsi?
«Sarebbe abbastanza curioso il calcolo secondo il quale chi esce oggi poi possa allearsi di nuovo tra qualche mese, sarebbe surreale e complesso. La scissione mi pare oggettivamente fondata sul no a una persona».
Quanti voti avete messo in conto di perdere con la scissione?
«No lo so, sono calcoli che non faccio. Auspico l’unità e non le scissioni. Penso a come far vincere le idee di centrosinistra, non voglio cominciare a usare il bilancino per pesare le uscite».
Con la scissione il Governo Gentiloni è più debole?
«Ovviamente, soprattutto se come annunciato si creeranno anche due gruppi autonomi in Parlamento. Non certo per il Pd che continuerà a sostenere il Governo Gentiloni convintamente».
C’è stata una “moral suasion” dal Quirinale contro la scissione?
«Penso ci sia stata una moral suasion di tutti gli iscritti, gli elettori e i simpatizzanti del Pd».
La scissione è una capriola nel passato?
«L’ha detto bene Veltroni: chi pensa di tornare ai Ds e alla Margherita fa un errore, perché non si parlerebbe di futuro ma di passato».
Cosa pensa dell’assenza di Massimo D’Alema?
«Penso che aveva detto che dopo il referendum del 4 dicembre non si sarebbe più dedicato alla politica. Prendo atto che non è così».
Scuola, lavoro, rapporto con l’Ue, al Governo Renzi si rimproverano molte scelte. Cosa va corretto?
«L’ex premier lo ha detto in diverse occasioni, soprattutto dopo la sconfitta al referendum e anch’io penso che, come capita a chi fa, non tutto sia riuscito come si immaginava, come accaduto per la riforma della scuola dove molto dobbiamo recuperare. Mi dispiace però che nulla oggi si sia detto sulla riforma della pubblica amministrazione, che va nella direzione giusta, o su alcune cose fatte anche in termini di diritti civili, che sono state fatte bene. Il congresso sarà l’occasione anche per rilanciare nuove proposte».
L’iter del congresso è partito, quando si vota?
«Il congresso secondo statuto si farà tra aprile e maggio ed è slegato dalle politiche che si terranno non a giugno, ma in una data stabilita dal Capo dello Stato, dal premier e dal Parlamento».
È ipotizzabile settembre?
«Si può ipotizzare, ma non c’è una scadenza al Governo Gentiloni. Fino a quando riuscirà a fare le cose e a confrontarsi con l’Ue continui a lavorare e a portare avanti le riforme avviate. Non possiamo permetterci di stare fermi, come purtroppo è capitato dopo il referendum».
Se ci saranno elezioni anticipate anche in Regione la legislatura si chiuderà prima del 2018?
«Il congresso è staccato dalle politiche così com’è staccato dalle elezioni regionali in Fvg, che è autonomo anche rispetto al voto per le politiche. In regione siamo impegnati nelle riforme avviate e nel raccontare quanto fatto finora e quanto resta da fare, perché mi sono resa conto che si deve raccontare di più e meglio gli impegni realizzati e che cosa vuole fare il centrosinistra nei prossimi anni».
Lei che strada prenderà, verso Roma?
«Meglio di me ha risposto Franco Iacop: pensiamo alla Regione, al rilancio del lavoro portato avanti e poi si faranno le valutazioni del caso».
Serve il congresso anche in regione?
«Non è in agenda, ma è una necessità per un partito come il nostro, ma non ce ne occupiamo adesso, come ha deciso l’assemblea regionale che è sovrana».
Quali conseguenze della scissione pensa ci saranno in Consiglio regionale?
«Non lo so quali saranno le decisioni dei singoli, ma penso che la maggioranza resterà compatta».
Spesso in regione qualcuno le chiede di smarcarsi da Renzi, lo farà?
«Credo che abbiamo fatto scelte molto autonome, come la misura di sostegno al reddito, l’eliminazione delle Province, la riforma della sanità. Ma penso anche che la vicinanza al Governo Renzi abbia portato molte risorse alle nostra regione, quantificabili in oltre 2 miliardi di euro. Solo il fatto di aver superato il patto Tremonti-Tondo ci ha permesso di avere direttamente 698 milioni e di poter chiudere in questi anni buoni bilanci. Oggi possiamo discutere con il Governo temi importanti a testa alta».
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20 febbraio 2017
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