La numero 2 del Pd annuncia di aver messo a disposizione l’incarico di vicesegretario nazionale. «È necessario rafforzare la segreteria politica»
di Michela Zanutto
Serracchiani. Tutt’altro. La vicesegretaria del Pd, all’indomani della sconfitta alle regionali ha presentato le proprie dimissioni da numero due del Pd, come ha svelato ieri durante il programma di Rai Tre Agorà estate.
«Ho messo a disposizione il mio ruolo all’interno del partito perché non credo che il problema sia la poltrona, ma il risultato – ha detto Serracchiani -. E quindi, anche alla luce del risultato delle elezioni regionali, ho ritenuto che fosse opportuno risistemare i pezzi che mancano perché alle amministrative in Fvg non ho vinto. Da segretario regionale le avevo vinte tutte, è la prima volta che mi capita di non vincere».
Un’intervista che arriva dopo la direzione del Pd in cui ancora una volta il capo del governo e segretario Matteo Renzi è stato contestato per il doppio incarico.
«Il Pd non è fuori controllo – ha assicurato Serracchiani -: c’è un segretario nazionale, ci sono due vicesegretari, ci sono i segretari regionali. Dopodiché io non dico che non si debbano rivedere delle cose, è evidente, lo ha detto anche il segretario nazionale durante l’ultima direzione che bisogna raddrizzare il tiro e rafforzare la segreteria».
Per centrare l’obiettivo in vista del referendum di ottobre (sul quale Serracchiani resta fiduciosa) e soprattutto riallacciare un rapporto con l’elettorato, il Pd deve fare i conti con la disaffezione verso la politica: «Un problema per tutti i partiti italiani – sottolinea Serracchiani -: oggettivamente la politica, così come qualunque forma di rappresentanza, anche i sindacati, hanno il problema di mantenere il legame con la rappresentanza, di mantenere un radicamento territoriale e di parlare anche con quelli che non entrano nei circoli».
In questo quadro, dunque, «sarebbe bene allargare il dialogo all’interno della sinistra con persone come Massimo Zedda e Giuliano Pisapia e altri, perché è nella storia di questo Paese. Dopodiché non può accadere con tutti; con Stefano Fassina con Alfredo D’Attorre è complicatissimo.
Siamo costretti, per esempio, a dialogare con Denis Verdini perché è un senatore e al Senato abbiamo problemi di numeri. Se Verdini vota le riforme costituzionali e vota le Unioni civili, a me sta bene. Perché senza Verdini in questo Paese le Unioni civili non ci sarebbero state».
Serracchiani. Tutt’altro. La vicesegretaria del Pd, all’indomani della sconfitta alle regionali ha presentato le proprie dimissioni da numero due del Pd, come ha svelato ieri durante il programma di Rai Tre Agorà estate.
«Ho messo a disposizione il mio ruolo all’interno del partito perché non credo che il problema sia la poltrona, ma il risultato – ha detto Serracchiani -. E quindi, anche alla luce del risultato delle elezioni regionali, ho ritenuto che fosse opportuno risistemare i pezzi che mancano perché alle amministrative in Fvg non ho vinto. Da segretario regionale le avevo vinte tutte, è la prima volta che mi capita di non vincere».
Un’intervista che arriva dopo la direzione del Pd in cui ancora una volta il capo del governo e segretario Matteo Renzi è stato contestato per il doppio incarico.
«Il Pd non è fuori controllo – ha assicurato Serracchiani -: c’è un segretario nazionale, ci sono due vicesegretari, ci sono i segretari regionali. Dopodiché io non dico che non si debbano rivedere delle cose, è evidente, lo ha detto anche il segretario nazionale durante l’ultima direzione che bisogna raddrizzare il tiro e rafforzare la segreteria».
Per centrare l’obiettivo in vista del referendum di ottobre (sul quale Serracchiani resta fiduciosa) e soprattutto riallacciare un rapporto con l’elettorato, il Pd deve fare i conti con la disaffezione verso la politica: «Un problema per tutti i partiti italiani – sottolinea Serracchiani -: oggettivamente la politica, così come qualunque forma di rappresentanza, anche i sindacati, hanno il problema di mantenere il legame con la rappresentanza, di mantenere un radicamento territoriale e di parlare anche con quelli che non entrano nei circoli».
In questo quadro, dunque, «sarebbe bene allargare il dialogo all’interno della sinistra con persone come Massimo Zedda e Giuliano Pisapia e altri, perché è nella storia di questo Paese. Dopodiché non può accadere con tutti; con Stefano Fassina con Alfredo D’Attorre è complicatissimo.
Siamo costretti, per esempio, a dialogare con Denis Verdini perché è un senatore e al Senato abbiamo problemi di numeri. Se Verdini vota le riforme costituzionali e vota le Unioni civili, a me sta bene. Perché senza Verdini in questo Paese le Unioni civili non ci sarebbero state».
15 luglio 2016
http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine