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    Renziani, scissionisti e incerti: ecco come si spacca il Pd in regione

    Vicini all’uscita Pegorer e Mauro Travanut. In bilico Malisani, Sonego e Marsilio

    di Anna Buttazzoni

    UDINE. Scissionisti e indecisi. Renziani (con sfumature diverse) e bersaniani. E tanti disorientati che si guardano attorno, attendono e annusano con chi è meglio stare per guadagnarsi riconferme o nuovi ruoli. Il dramma democratico si consuma di ora in ora, in un Pd ormai spaccato in decine di anime.

    Anche in Friuli Venezia Giulia si va alla conta. In testa alla squadra di Matteo Renzi c’è ancora la presidente della Regione, Debora Serracchiani, che capeggia l’area più nutrita dei dem friul-giuliani. Con lei c’è il vicepresidente Fvg Sergio Bolzonello, renziano della prima ora, come l’eurodeputata Isabella De Monte e il deputato Paolo Coppola.

    Contrari alla scissione e schierati con Renzi ci sono anche i deputati Giorgio Brandolin (lettiano) e Giorgio Zanin, i senatori Laura Fasiolo e Alessandro Maran, che dopo la parentesi di Scelta civica è tornato nella casa dem, comodo e a suo agio.

    Non hanno dubbi, oggi, sul collocamento renziano nemmeno gli assessori regionali Gianni Torrenti, Mariagrazia Santoro e Sara Vito. E si accomodano al loro fianco anche diversi eletti in Consiglio regionale, da Diego Moretti (capogruppo) a Vittorino Boem, dall’ex Idv Enio Agnola a Renata Bagatin, da Armando Zecchinon a Chiara Da Giau. Una truppa che conta anche la segretaria Fvg, Antonella Grim, e il numero uno provinciale di Pordenone, Giuliano Cescutti.

    Poi, cominciano le sfumature. La più importante è quella rappresentata dal ministro Dario Franceschini, anima numerosa e alleata di Renzi. Tra i franceschiniani ci sono Ettore Rosato, capogruppo dem alla Camera, ma anche il presidente del Consiglio regionale Franco Iacop, il consigliere regionale Daniele Gerolin e il presidente dell’assemblea regionale del Pd, Salvatore Spitaleri, ex bersaniano.

    Avanti con le sfumature si trovano gli esponenti vicini ai ministri Andrea Orlando e Maurizio Martina o all’ex premier Enrico Letta. Lealisti, pontieri o lupi solitari. Nelle ultime ore è nata l’intesa tra Orlando, Gianni Cuperlo e Cesare Damiano che, seppur all’interno del Pd di Renzi, sono pronti a schierare un proprio candidato alla segreteria del partito, per differenziarsi un po’, dare un’alternativa a un dibattito che rischia altrimenti d’essere monocorde.

    Ecco, l’area che prende forma potrebbe accogliere più di un insoddisfatto da Renzi, ma non così tanto da abbandonare la nave. È il caso dell’assessore Cristiano Shaurli, ex bersaniano, vicino a Martina e quindi a Orlando, ma anche del senatore lettiano Francesco Russo. In avvicinamento all’inedita anima dem anche i consiglieri regionali Renzo Liva, Vincenzo Martines (ex civatiano), Franco Rotelli e Silvana Cremaschi. Nessuno di loro fa salti di gioia davanti a Renzi, ma non è nemmeno così deluso da lasciare il partito. Meglio ricollocarsi. Ex civatiano è anche il segretario provinciale di Gorizia, Marco Rossi, pure lui vicino a Orlando.

    E se a un amen dall’uscita ci sono il senatore Carlo Pegorer (bersaniano di ferro) e il consigliere regionale Mauro Travanut (pronto ad accomodarsi nel gruppo Misto), altri restano sulla porta, indecisi. Come la deputata Gianna Malisani, che attende la direzione di oggi, ma che punta anche alla candidatura a sindaco di Udine. Con i bersaniani? Difficile.

    Sono in bilico anche il senatore Lodovico Sonego, i consiglieri regionali, o meglio, i battitori liberi Enzo Marsilio, Franco Codega e Stefano Ukmar. Riflette il bersaniano Massimiliano Pozzo, segretario provinciale di Udine, in difficoltà a restare nel Pd ma anche ad uscire. Come lui la collega bersaniana di Trieste, Adele Pino.

    Tra chi si conta e spaccature è Serracchiani a rilanciare il progetto dem. «Nel 2007 diversi milioni di italiani hanno scelto di stare assieme per cambiare l’Italia. Hanno deciso di fondare una comunità, il Pd – ha scritto ieri la presidente –, che raccogliesse le esperienze dei partiti popolari che costruirono la democrazia nel nostro Paese. Io credo ancora oggi in quel progetto».

    Serracchiani auspica che il congresso sia momento di confronto aperto e ampio, ma rintuzza gli scissionisti. «Per un gruppo dei suoi dirigenti storici, il Pd pare non essere più il luogo del dibattito. Alcuni iscritti hanno preso altre vie, un distacco doloroso. Oggi la chiarezza non è massima, ma continuo ad avere fiducia nella mia comunità politica che è cresciuta e maturata ben oltre i meriti e le responsabilità dei suoi dirigenti.», aggiunge Serracchiani. Altri non sono così saldi.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

    21 febbraio 2017

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