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    Reddito minimo, in Parlamento 3 proposte. Da 2015 si sperimenta in Friuli

    Il costo di una misura del genere è stato stimato, da studiosi come Tito Boeri e Roberto Perotti, in 15-17 miliardi. Contro i 10 miliardi necessari per coprire il bonus di 80 euro. Nella legge delega sul lavoro, il Jobs act, è prevista l'”eventuale introduzione” di una prestazione assistenziale aggiuntiva per chi ha entrate molto basse. Altri due progetti sono stati presentati da M5S e Sel. E la Regione presieduta da Debora Serracchiani ha approvato una mozione dei Cinque Stelle

    Reddito minimo, in Parlamento 3 proposte. Da 2015 si sperimenta in Friuli

    Una prima prova di reddito minimo potrebbe aversi in Friuli Venezia Giulia con una inedita alleanza tra Pd e Movimento 5 Stelle. Qualche giorno fa, infatti, la Regione presieduta dalla vicesegretaria democratica, Debora Serracchiani, ha approvato una mozione del M5S che prevede una sperimentazione, dal 2015, “di forme articolate di sostegno al reddito per contrastare e prevenire il fenomeno della povertà”. Il caso friulano, però, sembra essere davvero una rarità. Anche la Regione Sicilia sta per abbandonare l’idea del reddito minimo a favore di un più tradizionale supporto alle “imprese che assumono”.

    Esperimento in salsa friulana. Il dibattito sul reddito è dunque scomparso dalla scena politica. Sul piano parlamentare esiste un progetto di legge molto articolato del M5S, prima firmataria la senatrice Nunzia Catalfo che prevede l’istituzione di un “reddito di cittadinanza”. Si tratta di venti articoli, dettagliati, in cui si stabilisce un principio base: nessuno può vivere al di sotto di una soglia di povertà. Il reddito serve ad arrivare a questa soglia, indicata in 600 euro netti per una persona che salgono a mille euro per una famiglia di due, 1300 per tre persone e così via. Le risorse vengono individuate nei tagli alle pensioni d’oro, in tagli alla difesa, al finanziamento pubblico ai partiti e ai costi della politica, ma anche tassando il gioco d’azzardo e destinando a questo fondo l’8 per mille di quanti non specificano a chi destinarlo. L’altra proposta è stata presentata da Sel e individua le stesse cifre del M5S da corrispondere, però, integralmente indipendente dal reddito. Per quanto riguarda la copertura si rinvia, più generalmente, alla “fiscalità generale”. Entrambe le proposte, al momento, giacciono nelle rispettive commissioni. 

     

    L’occasione del Jobs Act. L’opportunità di una discussione vera potrebbe essere data dal dibattito sulla legge delega governativa in materia di mercato del lavoro: il Jobs act. Nella delega, infatti, attualmente in commissione Lavoro al Senato, si fa riferimento a un’estensione della nuova indennità di disoccupazione, l’Aspi, anche ai lavoratori co.co.co., sia pure in forma sperimentale e, soprattutto, si prevede, alla cessazione dell’Aspi, “l’eventuale introduzione di un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore Isee particolarmente ridotto”. Insomma, per chi ha un reddito davvero basso si può prevedere un’indennità assistenziale aggiuntiva.

    Far fuori la cassa integrazione. Il progetto del governo in realtà è molto esile. Oltre a prevedere una “eventuale introduzione”, quindi nessuna certezza del provvedimento, quando fa riferimento a un’estensione di indennità si riferisce al “periodo successivo all’Aspi”. Significa, quindi, che per avere un reddito legato a una situazione di povertà, occorre comunque aver beneficiato di contributi sociali. In questo modo si lasciano fuori coloro che non hanno mai avuto un lavoro regolare e continuato nel tempo. La legge, poi, subordina la corresponsione dell’indennità a un “coinvolgimento del soggetto in attività a beneficio delle comunità locali”. Una formula che ricorda l’esperienza disastrosa dei Lavoratori socialmente utili (Lsu), istituiti nel 1997 e ancora oggi in condizioni di precarietà. La questione più delicata, però, rimane quella dei costi. Anche per questo il testo del governo è così ambiguo. Renzi e il ministro Poletti, in realtà, puntano a riorganizzare l’intero sistema degli ammortizzatori sociali, riducendo in parte la cassa integrazione e rivedendo le prestazioni sociali che oggi vengono assicurate ai disoccupati per generare risorse da destinare a un ampliamento dell’Aspi. Ma non fanno riferimento alle risorse.

    Costa troppo oppure è un’opportunità? Il costo di un reddito minimo o di cittadinanza è stato stimato, da studiosi come Tito Boeri e Roberto Perotti, in 15-17 miliardi. Una cifra molto alta ma non impossibile se si pensa che la corresponsione degli 80 euro costa circa 10 miliardi. I soldi si possono anche trovare, il problema è se il tema del reddito di cittadinanza viene individuato come soluzione positiva per l’economia in generale. Ne è convinto, ad esempio Giovanni Perazzoli, autore del libro ‘Contro la miseria’ (Laterza) in cui dimostra i benefici economici di un provvedimento che non a caso è nato nella liberale Inghilterra con le misure decise nel 1948 da William Beveridge e che sorregge quasi tutti i paesi europei. Su questo obiettivo, la rete italiana per il reddito, Basic Income Network (Bin) ha avviato da tempo una campagna europea da cui è nata la rete Ubie (Unconditional basic income in Europe) che ha già lanciato una nuova iniziativa per il 2015. In attesa di Renzi.

    Da Il Fatto Quotidiano del 30 Luglio 2014

    http://www.ilfattoquotidiano.it/economia-lobby/