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    Friuli bocciato dal manuale Cencelli

    http://messaggeroveneto.gelocal.it/

    di Giuseppe Ragogna

    «Ha vinto il lupo». Paolo Coppola, deputato friulano e renziano della prima ora, ha sfogato così l’amarezza di non essere entrato nella compagine di Governo. Le sue erano le quotazioni più forti nella corsa del Friuli Venezia Giulia a una presenza nella stanza dei bottoni. Praticamente, il suo nome era già segnato in una delle caselle predisposte da Matteo Renzi per completare la squadra.

    Gli era stato ritagliato un posticino ad hoc, da sottosegretario con delega all’agenda digitale. Avrebbe voluto esprimere al meglio la competenza accumulata nel corso della sua professione accademica, magari per accelerare i lenti processi di innovazione tecnologica. Si sa, infatti, che l’Italia in questo settore ha accumulato ritardi imbarazzanti. D’altra parte il nostro è un Paese che non sa parlare né alle imprese né tanto meno ai giovani.

    All’ultimo momento, la candidatura di Coppola è saltata, sopraffatta dal tourbillon dei nomi che rimbalzavano come schegge impazzite da un posto all’altro, a seconda delle pressioni esercitate.

    I buoni propositi per realizzare un progetto non costituiscono valore aggiunto. Vince sempre chi ha più filo da tessere, anche se è scadente. La nostra regione è così rimasta a secco per la terza volta consecutiva. L’ultima presenza è quella di Roberto Menia, sottosegretario ai tempi del Berlusconi IV.

    In questo caso, il deputato triestino si dimise per manifestare la sua fedeltà a Gianfranco Fini, in occasione della rottura con il Cavaliere. Per trovare un ministro è necessario andare addirittura molto più indietro.

    È il segno inequivocabile che il Friuli Venezia Giulia ha un ruolo marginale negli assetti del potere nazionale. In definitiva, il laconico commento di Coppola non è altro che la sconsolata risposta ai tanti scaramantici «in bocca al lupo» ricevuti negli ultimi giorni.

    La bestia non è stata domata: ha vinto il lupo. Capita spesso in politica. Soprattutto quando entra in funzione il tritacarne del manuale Cencelli. Ecco che, a voler dare un’occhiatina alla lista finale, si coglie benissimo il risultato dello slalom tormentato a cui è stato sottoposto il premier Renzi tra le componenti riottose del suo partito, i compromessi per tener buoni gli alleati, i paletti posti da rivendicazioni territoriali, le candidature portatrici di robuste clientele.

    In queste situazioni, le speranze di aree piccole e fragili, come lo è il Friuli Venezia Giulia, si riducono al lumicino. Il giro di giostra è rimasto sempre lo stesso. Ne ha dovuto prendere atto anche la presidente Debora Serracchiani, che non ha incassato nulla.

    Non le è rimasto che manifestare alle agenzie di stampa un freddo «profondo rammarico». Evidentemente, la partita del sottosegretario non era poi ritenuta la sfida “della vita”. Non a caso, con ruvido pragmatismo, il vicepresidente Sergio Bolzonello ha dichiarato che «con una figura come Serracchiani la Regione è ben rappresentata a Roma».

    Dentro la formula del “tutti stretti attorno a Debora” c’è qualcosa di più significativo per comprendere la strategia futura. Si capisce, per esempio, che la presidente rafforzerà ulteriormente le caratteristiche di globetrotter. Sarà di più fuori regione. Si badi bene che non si tratta di una penalizzazione per il territorio, perché il Friuli Venezia Giulia ha bisogno di rompere la sua perifericità.

    È complicato incassare qualcosa restando bullonati sulle poltrone di casa. Anzi, la marginalità comprime le opportunità. È più produttivo uscire, dialogare, convincere, creare alleanze, nel momento in cui l’autonomia regionale è minacciosamente sotto tiro. Di questi tempi, ogni ripiegamento all’interno è un’azione autolesionistica. È chiaro che sulla giunta regionale ricadrà pertanto un superlavoro senza precedenti, in una situazione economica particolarmente “calda”.

    Il più sovraesposto sarà il vicepresidente Bolzonello, già carico come un mulo, messo sotto tensione dagli impegni più delicati. È evidente la necessità di una redistribuzione più equilibrata delle deleghe.

    Si ripropongono quindi le osservazioni più volte sollevate da opinionisti e politici. La questione gira attorno a un quesito fondamentale: qual è oggi la priorità dell’azione amministrativa? Senza ombra di dubbio è quella dell’economia, che perde colpi. Gli ultimi dati statistici sono impietosi.

    Il tasso di disoccupazione è in crescita continua. Nell’ultimo anno sono stati persi quasi 7 mila posti di lavoro. Non c’è soltanto Electrolux. I punti di crisi si allargano in ordine sparso: Ideal Standard, Domino, Mangiarotti, Palini&Bertoli, Mobilificio Europeo, Latterie Friulane, Ferriera di Servola.

    E ci sono altre aziende in difficoltà in distretti e consorzi industriali liquefatti. A ogni impresa sono legati tanti drammi umani, che sollecitano azioni concrete, a partire dai 500 ex dipendenti della Safilo da ieri messi in mobilità. Il sistema manifatturiero è nel vortice dei profondi cambiamenti: o trova la via della rigenerazione o è condannato al declino.

    E’ vero, la Regione ha predisposto degli importanti piani di sviluppo. Ma questi progetti hanno bisogno di essere guidati, mossa dopo mossa. Ebbene, ricalibrare i pesi della giunta significa investire energie, idee e risorse sul problema cardine della produzione. Serve il “tempo pieno”.

    Oggi più che mai c’è la necessità di un assessorato specifico per lo Sviluppo economico, guidato da una persona che non debba dividersi con altri incarichi. C’è bisogno di un regista della crescita, che sappia anche portare l’immaginazione al potere. Su questo versante si gioca gran parte del futuro del Friuli Venezia Giulia.

    02 marzo 2014