Pochi secondi accolti da una colata di maldicenze social sessiste, ove l’odio si mescola al compiacimento. Ho provato sgomento e ne ho avuto paura. Davvero siamo questi? Ci basta una lacrima per sentirci trionfanti sulle vite altrui? L’attacco di cui è oggetto la presidente Debora Serracchiani merita qualche riflessione
di Omar Monestier
Piange in aula. Pochi secondi, la voce incrinata, il fazzoletto che corre agli occhi. Il momento agognato dai detrattori: l’infaticabile maratoneta che salta da un comizio a un convegno senza apparentemente stancarsi mai ha un cedimento.
Pochi secondi accolti da un’ordalia di maldicenze social sessiste, ove l’odio si mescola al compiacimento. Ho provato sgomento e ne ho avuto paura. Davvero siamo questi? Ci basta una lacrima per sentirci trionfanti sulle vite altrui? L’attacco di cui è oggetto la presidente Debora Serracchiani merita qualche riflessione. In esso confluiscono aspetti assai diversi fra loro la cui crudezza può essere eletta a emblema delle dinamiche sociali italiane. Ve ne sono due, in particolare. Il primo è politico.
E su quello non c’è molto da dire. La presidente esce perdente dalla tornata delle amministrative locali e dalla campagna referendaria nazionale. Gli errori nelle scelte dei candidati sindaci sono stati, finalmente, riconosciuti. In quelle savie e tardive parole scorgo un’analisi netta delle scelte su Trieste, Pordenone, Codroipo e Monfalcone. Una ammissione di colpa che la presidente fa propria.
Ora che succede? Debora Serracchiani che fa? Dove va? Quando? Nel Consiglio regionale non si parla d’altro, segno che l’aula non è abbastanza impegnata a occuparsi della povertà, delle imprese, della sanità, delle riforme. La domanda, certamente legittima, è una clava utilizzata per menare, metaforicamente, la presidente.
Lo fa l’opposizione, ed è il suo mestiere, ma lo fanno anche membri della maggioranza. Nel Pd c’è chi ha le risposte: “la presidente non si ricandida, si va alle elezioni regionali anticipate e noi riacciuffiamo il potere che non è più nelle mani degli indigeni, ma di una forestiera”.
La disfatta referendaria consente a molti di esternare malumori mai sopiti. Io credo che costoro facciano male i loro calcoli. La presidente non può dimettersi prima perché noi tutti urleremo al tradimento.
Il suo destino è legato alla scadenza del mandato in Regione e una sua uscita improvvisa, che tanto piacerebbe a destra e a sinistra, fornirebbe benzina solo al centrodestra e consegnerebbe il centrosinistra a una sconfitta sicura. È assai probabile, per come vanno le cose, che la presidente non ambisca a un secondo mandato. Sarebbe coerente col suo ruolo di rottamatrice della politica.
Ma strapparle un pronunciamento deciso su questo, adesso, è impossibile. Pur tramortita dalla batosta delle urne, Debora Serracchiani resta pur sempre una mente lucida e capace in un partito finito sotto scacco in meno di due anni, dopo una marcia trionfale che pareva eterna.
C’è troppa voglia di vedere scorrere sangue, a sinistra, anche in Friuli. Facciano pure nelle stanze del Pd, se credono. Non nell’aula nella quale si discute dei problemi delle nostre comunità. La maggioranza ha il dovere di difendere la sua presidente perché, dovesse cadere, ruzzolerebbero come birilli anche questi brontoloni che ci spiegano come bisogna governare e, fino ad oggi, non ce ne hanno offerto saggio. Il secondo elemento è personale. Giovane, donna, romana.
Poiché vive un momento di difficoltà perchè non affondare il coltello? Tralasciando l’età e il luogo di nascita, è sul suo essere donna che viene offesa. Le battute che corrono sui social e nei corridoi del palazzo consigliare girano sempre intorno a questo.
Non le si perdona di essere donna e la si irride per questo. A nessuno viene in mente che ogni giorno migliaia di mogli, madri e figlie sono trattate alla stessa maniera. Come ha osato una giovane, nata così lontana dalla Patrie, prendersi la Regione? C’è riuscita perché era la più brava e gli altri erano divisi.
Nessuno se ne rammenta più. Neppure nel Pd. Renzo Tondo, che è un galantuomo, ne ha lodato la tenacia a commento di un nuovo stabilimento in Carnia. Lui, che ne fu nemico. Io penso che quelle lacrime ci abbiano riconsegnato la presidente nella sua dimensione umana e per questo fallace.
Vi percepisco la frattura col Renzismo, la consapevolezza che la politica è fatta di decisioni condivise e non solo di esibizioni muscolari. Non vi ho visto fragilità, ma una nuova maturità. Quelle lacrime sanno di futuro.
14 dicembre 2016
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