di Lorenzo Marchiori
Il marchio di qualità dei prodotti, il valore della griffe non è usanza di oggi. Anche nei tempi antichi artigiani e vere fabbriche di vasellame e gioielli erano soliti imprimere il loro marchio (nome o località) sulla merce che poi si diffondeva per tutto il mondo all’epoca conosciuto. A ricordalo è una mostra che ha appena aperto i battenti ad Aquileia, a cura dell’omonima Fondazione che valorizza il patrimonio archeologico della città che fu il porto dell’antica Roma per l’Alto Adriatico. Fino al 31 maggio nella sede di Palazzo Meizlik sarà visitabile Made in Roma and Aquileia, promossa e organizzata dalla Fondazione friulana in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale e la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali, il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia, il Comune di Aquileia e l’Associazione nazionale per Aquileia.
Il percorso espositivo, curato da Annalisa Giovannini, Marta Novello e Cristiano Tiussi, comprende ben 156 pezzi del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, oltre ai 150 provenienti dall’esposizione che si è appena chiusa con successo ai Mercati di Traiano di Roma: in mostra il collare di bronzo di uno schiavo, vetri, lucerne, gemme, anfore di varie fogge, strumenti medicali e molti altri oggetti di uso quotidiano nell’antichità, tutti caratterizzati da marchi, loghi, firme e i più diversi segni di proprietà e appartenenza.
Aquileia, città fondata nel 181 avanti Cristo al limite tra il Mediterraneo e il mondo che si allargava oltre la cerchia alpina, era, col suo grande porto fluviale, un vero e proprio microcosmo che produceva, esportava e importava merci, mantenendo collegamenti oltre che con Roma con tutti i popoli che si affacciavano sul Mediterraneo, dall’Egitto al Marocco, senza dimenticare la vicina costa dalmata e i paesi oltre le Alpi.
Il bollo, il marchio, il contrassegno: Aquileia, come Roma, racconta, attraverso questi piccoli ma efficaci accorgimenti, lo svolgersi nel tempo di un rapporto tra produttore/venditore e acquirente e, allo stesso tempo, quello tra l’acquirente e l’oggetto comprato. Chi metteva un contrassegno col proprio nome sull’oggetto prodotto, compiva duemila anni fa un atto di comunicazione che offriva una garanzia di qualità e chi acquistava quell’oggetto, faceva un gesto di fiducia, preferendo quel prodotto ad altri. Un aspetto del commercio, questo, che non è mai venuto meno, proseguendo nei secoli fino ad oggi.
I nomi degli imprenditori si accavallano, parlando di titolari, uomini e anche donne a un tempo audaci e ponderati nelle gestioni imprenditoriali, nell’amministrare personale talvolta numeroso, nel cercare e trovare sbocchi di mercato sempre più grandi e recettivi. «Sono marchi che denotano l’orgoglio per il lavoro eseguito – annota Cristiano Tiussi, archeologo e direttore della Fondazione Aquileia – per la qualità del prodotto e che talvolta sono una forma di tracciabilità, una certificazione d’origine. In epoca romana si marchiava tutto, dai laterizi ai vetri agli oggetti in metallo, ai medicinali, ai gioielli. Purtroppo, come dimostra il collare da schiavo in mostra, si marchiavano anche gli esseri umani, una pratica che oggi ci fa inorridire ma che era del tutto comune nell’antichità».
Martedì 14 Febbraio 2017, 16:45
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