Le elezioni di domenica inasprisce le divisioni tra le anime democratiche. Martines: serve una scossa. Travanut: un errore la rottamazione spinta
di Mattia Pertoldi
TRIESTE. La sensazione palpabile è che questa volta almeno una testa dovrà rotolare sul tavolo del Pd. Probabilmente soltanto al termine dei ballottaggi – dove Alberto Soramel e Silvia Altran cercano una disperata remuntada –, ma, parafrasando le parole del consigliere friulano Vincenzo Martines, quella rifilata sul groppone del centrosinistra dalle amministrative di domenica resterà comunque «una grossa scoppola».
La seconda, pesante e al netto di come andrà a finire il secondo turno a Codroipo e Monfalcone, in pochi mesi. Talmente grave da trasformare i mal di pancia di primavera in una febbre da cavallo autunnale.
Dopo l’addio alle poltrone di primo cittadino a Trieste e Pordenone, infatti, tra i dem si era optato, anche se non all’unanimità, per una sorta di “continuità nel cambiamento”. Si era scelto, cioè, di lasciare tutti al loro posto – a eccezione dell’ex segretario provinciale di Trieste Nerio Nesladek dimessosi di propria sponte – puntando le proprie fiches su una maggiore presenza sui territori, con in testa Debora Serracchiani.
Non è bastato, almeno al momento, e il silenzio della presidente sui risultati delle amministrative, seguito dagli imbarazzi e «no comment» della giunta, ieri, in Consiglio regionale, rappresentano il sintomo più evidente del malessere che sta attraversando un partito diviso in correnti e nel quale è stata solamente posposta la resa dei conti interna. Il conto, però, è destinato ad arrivare e sul banco degli imputati la prima a salire è la segretaria regionale Antonella Grim.
«Dobbiamo prendere in mano la situazione – mormorava ieri Martines –. Il passaggio è delicato e da non sottovalutare, per quanto inviterei il centrodestra a non cantare già vittoria in vista del 2018. E se è vero che su alcuni temi, come l’immigrazione, probabilmente non ci sappiamo spiegare in maniera chiara, un richiamo alla giunta è corretto, così come spingerla verso una relazione più stretta con il territorio.
Al di là di tutto, in ogni caso, credo che, al massimo dopo il referendum, una riflessione profonda sull’organizzazione del partito vada fatta. A meno che non siano gli stessi protagonisti ad aiutarci a dare una scossa al Pd». Martines non lo dice espressamente, ma il riferimento a Grim è diretto.
Sì, l’ex assessore della giunta comunale di Roberto Cosolini, passata dall’essere etichettata come una segretaria fantasma – cioè messa in quel ruolo per garantire almeno all’esterno l’unità oppure una scelta nata per non “fare ombra” ad altri a seconda dei punti di vista –, a doversi difendere dalle accuse di essere una delle principali responsabili del tracollo del Pd. Il “tiro al piccione”, però, non è univoco.
C’è chi la difende, come il presidente del partito Salvatore Spitaleri secondo cui la richiesta di dimissioni – avanzata ufficialmente dal senatore Lodovico Sonego – di Grim «è posta male e non risolve certamente i problemi di un partito che deve ritrovare unità se vuole spirare di sconfiggere i populismi di destra».
Ma il clima generale, al di là dell’ala a trazione “renziana” del Pd, è cupo, parola di Mauro Travanut che, come d’abitudine, non le manda certo a dire. «Il messaggio che ci lancia l’elettorato è serio – ha spiegato Travanut – perché la nostra base non si sente più in sintonia con il partito».
Il consigliere “filosofo” che a pochi minuti dall’esito del primo turno aveva cinguettato su twitter come «implacabilmente, l’allegra cultura dello show leopoldiano sarà costretta ad ammainare i vessilli», ne ha un po’ per tutti quelli che hanno guidato il Pd del Fvg dal 2013 in poi. «Non ho mai condiviso la politica di Serracchiani perché ha sempre agito senza avere cura di chi la pensa diversamente da lei, a partire da coloro che siedono dalla sua stessa parte.
L’errore di fondo, dall’inizio – ha aggiunto Travanut –, è stato quello di approvare le riforme più importanti nel minore tempo possibile per dire alle persone: guardate quanto siamo bravi. Ma dalle urne il messaggio è stato chiaro: non siamo stati promossi, anzi, se va bene siamo stati rimandati a settembre. Forse se avessimo ascoltato maggiormente la gente e i territori, adesso non staremmo rincorrendo gli errori commessi con una rottamazione spinta che ha portato a questi risultati sconfortanti».
Quanto a chi occupa le posizioni di comanda, quindi, Travanut è netto. «Va da sé che le figure – ha concluso – sono da cambiare. Oppure qualcuno può pensare di cercare di rialzare la testa con le stesse persone che hanno impallinato la politica del Pd?».
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26 ottobre 2016
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